Questo non era solo uno slogan… era un grido di battaglia, un’identità, un’esplosione di orgoglio che partiva dritta dai gradoni del Bulgarelli. Quando Carlo Venè scendeva in campo, non servivano paragoni, non c’era bisogno di miti lontani: noi il nostro fuoriclasse ce l’avevamo sotto gli occhi, con quella maglia biancoazzurra incollata addosso e il cuore sempre al centro del gioco.
Carlo era il nostro leader, fuori categoria per talento e visione, calcisticamente illegale, uno di quei giocatori capaci di spostare gli equilibri con un solo tocco. Ma non era il classico "genius regolatezza": aveva una stravaganza ironica, una leggerezza tutta sua, che lo rendevano unico e inimitabile. Avrebbe probabilmente meritato palcoscenici ben più importanti, ma ha scelto la Centese, gli amici, la sua gente.
Ha sempre vissuto il calcio come un atto d’amore verso la maglia, anche quando questo ha significato rinunciare a qualche treno in corsa.
Ma nelle categorie in cui ha giocato… era semplicemente di un’altra categoria.
Oggi che la vita gli chiede ancora una volta di lottare, come nei derby più tosti, noi siamo di nuovo sugli spalti, tutti insieme a fare il tifo per lui. Perché le sue partite non le ha mai giocate da solo. E anche questa volta, non sarà solo.
Carlo, la Centese è con te. Tutta. Stretta, compatta, unita. Come quando gridavamo:
“Maradona chi è? NOI ABBIAMO VENÈ!”
E non smetteremo mai di gridarlo.